Perdipiave

I "Sillabari" di Goffredo Parise

Appunti letterari di Francesco Maino

I “Sillabari” di Goffredo Parise

Lug. 21st | Posted by 0 comments

Nella seconda tappa del percorso di Perdipiave, venerdì 3 agosto, faremo visita alla casa di Goffredo Parise nel territorio di Salgareda.
Di Parise, nato a Vicenza nel 1929, ricordiamo che è stato scrittore, giornalista, poeta e saggista tra i più autorevoli del secondo dopoguerra italiano.
Della sua produzione letteraria, oltre a “Il prete bello” del ’54 con cui ottiene una grande notorietà in Italia e all’estero, ci piace segnalare i “Sillabari”, apparsi per la prima volta nel 1972 e usciti definitivamente nel 1984 per Mondadori, oggi in versione integrale per l’Editore Adelphi.

Goffredo Parise

Goffredo Parise
(photo Wikipedia)

La premessa è questa: Parise, intorno alla fine degli anni Sessanta, vede nella piazza sotto casa un bambino con un sillabario e la scritta “L’erba è verde”. Rimane folgorato e inizia a pensare a un sillabario personale che raccogliesse racconti brevissimi (romanzi in miniatura o poesie in prosa) dedicati ai sentimenti umani essenziali.
I primi racconti (da “Amore” a “Famiglia”) escono tra il 1971 e il 1972 a puntate sul “Corriere della Sera”; una seconda raccolta (da “Felicità” a “Solitudine”) escono tra il 1973 e il 1980. Infine nel 1984 i due “Sillabari” vengono riuniti in un unico volume.
Da registrare come Parise avesse nel frattempo acquistato una piccola casa di campagna in località Salgareda, in provincia di Treviso, sulle rive del Piave e lì avesse poi iniziato la stesura del suo ultimo romanzo “L’odore del sangue”, mai terminato e pubblicato postumo per Rizzoli.

Alla LETTERA B si trova il racconto dal titolo “Bambino” (in parte ambientato a Salgareda, in parte a Venezia, in parta al Lido di Venezia).
Questo è l’incipit (meraviglioso secondo noi):
“Un mattino presto d’inverno un uomo senza figli vide tra la brina degli alberi e la boscaglia sulle rive del Piave un bambino dagli occhi celesti e mongoli in compagnia di un vecchio con un falcetto. Aveva la testa grossa coperta da un berretto di lana con pon-pon. Zoccoli alti e una lunga sciarpa a strisce di colori diversi; non pareva un bambino “moderno” ed egli, per uno di quegli scherzi di tempo e di luogo che la vita gioca agli uomini per illuderli, in quel bambino vide se stesso quarant’anni prima”.

Alla LETTERA C di “Caccia” segnaliamo la storia di un cacciatore dentro una botte che anela di comprarsi un nuovo fucile (ci piace pensare a Caposile – Valle Drago) per una battuta.
“Il sole saliva nel cielo completamente azzurro e guardando con attenzione davanti a sé verso occidente l’uomo vide sorgere dalla grande laguna oltre le ultime barene come dei campanili e delle torri, gli parve di udire, con il vento che veniva di là, un lontanissimo ma profondo suono di campanile e il cuore riconobbe, di colpo, il campanile di S. Marco”.

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